La vaccinazione anti Covid-19 nel rapporto di lavoro dipendente
Con il passare delle settimane sempre più domande in merito alle vaccinazioni anti Covid-19 nel contesto lavorativo richiedono risposte che la legge ancora non ha avuto modo di rendere in maniera esaustiva.
Nel tentativo di tracciare linee guida che possano orientare datori di lavoro e dipendenti, diversi istituti e autorità stanno intervenendo in risposta ai molteplici interpelli ricevuti.
Premesso che, almeno per il momento, non vige alcun obbligo di vaccinazione per i cittadini italiani, ci si potrebbe domandare se il datore di lavoro possa, in qualche modo, verificare chi tra i propri dipendenti si sia vaccinato e se la vaccinazione dei dipendenti possa essere richiesta come condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni.
Sul punto in data 17 febbraio 2021 è intervenuto il Garante per la protezione dei dati personali, precisando che il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l’avvenuta vaccinazione anti Covid-19.
Inoltre, il Garante ha spiegato che non può considerarsi lecito il trattamento da parte del datore di lavoro dei dati relativi alla vaccinazione sebbene ne sia stato rilasciato il consenso dai dipendenti, giacché tale consenso non può costituire un valido fondamento giuridico per il trattamento dei dati personali in ragione dello squilibrio nel rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo (considerando 43 del Regolamento UE 2016/679 sulla protezione dei dati, c.d. GDPR).
Allo stesso modo, il datore di lavoro non può nemmeno chiedere al medico competente di fornirgli i nominativi dei dipendenti vaccinati.
Solo il medico competente può infatti trattare i dati sanitari dei lavoratori e tra questi, se del caso, le informazioni relative alla vaccinazione, nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica.
Il datore di lavoro deve quindi limitarsi ad acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati.
Infine, il Garante per la protezione dei dati personali ha affrontato la questione circa la possibilità per il datore di lavoro di richiedere ai propri dipendenti di sottoporsi alla vaccinazione anti Covid-19 quale condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni.
In attesa che il legislatore, nel quadro della situazione epidemiologica in atto e sulla base delle evidenze scientifiche, valuti se porre la vaccinazione anti Covid-19 come requisito per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni, allo stato, nei casi di esposizione diretta ad agenti biologici durante il lavoro, come nel contesto sanitario che comporta livelli di rischio elevati per i lavoratori e per i pazienti, trovano applicazione le misure speciali di protezione previste per taluni ambienti lavorativi.
In tale quadro, solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica.
Per contro, il datore di lavoro dovrà limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore, sempre nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati.
Così come il Garante per la protezione dei dati personali, anche l’INAIL è stata interpellata, in particolare, in relazione al riconoscimento della tutela assicurativa e del diritto al risarcimento in favore del dipendente che, volontariamente non sottopostosi alla vaccinazione anti Covid-19, abbia poi contratto il virus.
Nello specifico, nella nota operativa pubblicata il 1° marzo 2021 l’Istituto ha fornito risposta all’interpello avanzato da un policlinico genovese che domandava quali provvedimenti debbano essere adottati riguardo al personale infermieristico che non abbia aderito al piano vaccinale anti Covid-19.
Come infatti sottolineato dall’interpellante, pur in assenza di una specifica norma di legge che stabilisca l’obbligatorietà della vaccinazione, la mancata adesione al piano vaccinale nazionale da parte del lavoratore potrebbe comportare da un lato la responsabilità del datore di lavoro in materia di protezione dell’ambiente di lavoro (sia per quanto riguarda i lavoratori sia per quanto riguarda i pazienti) e dall’altro potrebbe esporre lo stesso personale infermieristico a richieste di risarcimento per danni civili, oltre che a responsabilità per violazione del codice deontologico.
Inoltre, nel quesito si domanda in particolare se la malattia/infortunio sia ammissibile o meno alla tutela INAIL nel caso in cui il personale infermieristico (ma non solo), che non abbia aderito alla profilassi vaccinale, contragga il virus.
Tale quesito ha trovato risposta positiva: il lavoratore che rifiuti di vaccinarsi e poi contragga il virus sul luogo di lavoro ha diritto alla tutela infortunistica.
Su tale punto, l’Istituto ha ricordato che l’assicurazione opera al ricorrere dei presupposti previsti direttamente dalla legge e non può essere sottoposta ad ulteriori condizioni oltre a quelle stabilite dalla legge stessa.
Come ricordato anche da una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, l’assicurazione gestita dall’INAIL ha la finalità di i proteggere il lavoratore da ogni infortunio sul lavoro, anche da quelli derivanti da colpa, e di garantirgli i mezzi adeguati allo stato di bisogno derivante dalle conseguenze che ne sono derivate (Cass. 19 marzo 2019, n. 7649).
Tuttavia – aggiunge l’Istituto – il comportamento colposo del lavoratore può invece ridurre oppure escludere la responsabilità del datore di lavoro, facendo venir meno il diritto dell’infortunato al risarcimento del danno, così come il diritto dell’INAIL ad esercitare il regresso nei confronti sempre del datore di lavoro.
Avv. Roberta Amoruso