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19 Maggio 2016 | Approfondimenti tecnici

Il licenziamento illegittimo: cosa prevede il contratto a tutele crescenti

Il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (entrato in pieno vigore il 7 marzo), contiene “disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183”.
Relativamente a questo decreto si parla comunemente di c.t.c. o contratto a tutele crescenti. Esprimendosi in questo modo sembrerebbe si voglia affermare che a partire dal 7 marzo 2015 nel nostro ordinamento esiste una nuova tipologia di contratto, denominata, appunto, contratto a tutele crescenti. Onde evitare equivoci, è meglio specificare che questa convinzione è del tutto errata: il decreto legislativo 23/2015 non introduce una nuova tipologia contrattuale ma piuttosto un nuovo regime di tutela e di conseguenze in caso di licenziamento illegittimo.

Non è del tutto vero, neppure, che il decreto in parola vada a modificare o abrogare l’art. 18 dello statuto dei lavoratori. Infatti, nessuna delle disposizioni del decreto legislativo 23/2015 contiene previsioni in tal senso. Anzi, l’art. 18 della l. 300/70 non è mai neppure menzionato all’interno del decreto!
Ciò che concretamente e precisamente ha fatto il decreto legislativo 23/2015 è stato inserire una disciplina alternativa e parallela a quella prevista dall’art. 18. Infatti la nuova disciplina in parola si applica ai soggetti assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto, lasciando immutate le regole dell’art. 18 che si continuano ad applicare a tutti rapporti sorti prima del 7 marzo 2015. L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori non è, perciò, stato abrogato, ma ne è stata limitata la valenza in termini temporali.
A norma dell’art. 1 del decreto in commento, la nuova disciplina in materia di tutele in caso di licenziamento illegittimo si applica ai lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, e che (a) siano assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, oppure (b) avessero in essere un contratto a tempo determinato convertito in contratto a tempo indeterminato, o infine (c) avessero in essere un rapporto di apprendistato che viene “qualificato” (ossia confermato).
Interessate è la novità introdotta dal d.lgs. 23/2015 relativamente al requisito dimensionale che aveva sempre caratterizzato la disciplina delle conseguenze in materia di licenziamento illegittimo. Il decreto trova applicazione per tutte le tipologie di aziende, indipendentemente dalle loro dimensioni (con alcune precisazioni).
Sotto il profilo delle tutele in caso di licenziamento illegittimo il decreto mantiene lo schema precedente prevedendo tutele reintegratorie molti simili a quelle previste dall’art. 18 come modificato dalla riforma fornero, riconoscendo al lavoratore licenziato illegittimamente il ristoro integrale della posizione giuridica lesa, e tutele di tipo prettamente economico.
Restano tutelati attraverso la reintegra i casi di licenziamenti nulli poiché discriminatori, i licenziamenti nulli poiché concomitanti con il matrimonio, i licenziamenti nulli poiché connessi con situazioni di genitorialità e i licenziamenti orali.

La novità principale introdotta dal d.lgs. 23/2015, che è poi anche quella che gli da il nome, è, però, la previsione delle cosiddette tutele crescenti. Si tratta di un impianto sanzionatorio, per il caso di certe tipologie di licenziamento illegittimo, che si collega strettamente con l’anzianità di servizio del lavoratore e si applica ai casi di tutele di tipo economico. In sostanza, da più tempo il lavoratore è inserito in azienda tanto più sarà elevato l’indennizzo che il datore di lavoro potrebbe essere chiamato a pagare nel caso in cui il licenziamento fosse dichiarato illegittimo. Ciò significa che, nel momento in cui decide di adottare un provvedimento espulsivo, il datore di lavoro è già in grado di conoscere quale potrebbe essere, nel peggiore dei casi, la conseguenza di questa sua scelta.

Nel concreto, le tutele economiche crescenti prevedono che, nel caso in cui il licenziamento sia dichiarato illegittimo il datore di lavoro sia condannato al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 2 mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità (nell’ipotesi di aziende con più di 15 dipendenti) oppure un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 1 mensilità per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 6 mensilità (nell’ipotesi di aziende che non raggiungono il suddetto requisito occupazionale).

Altra novità, molto interessante per le aziende, inserita dal d.lgs. 23/2015 è quella della nuova procedura di conciliazione in caso di licenziamento. Il decreto in esame stabilisce che al licenziamento dei lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti non si applichi più l’art. 7 della l. 604/66, ossia la procedura di conciliazione obbligatoria, inserita dalla fornero, ma che in caso di licenziamento di lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, al fine di evitare il giudizio, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento:

  •  In una delle sedi cd. Protette,
  •  Un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale,
  •  Di ammontare pari a 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del tfr per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità in generale, mentre per le pmi le mensilità sono 0,5 per ogni anno (con minimo di 1) e il tetto è di 6 mensilità
  •  Mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare.

L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. Il legislatore precisa, infine, che le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario.

 

Dott.ssa Emiliana Maria Dal Bon – Consulente del lavoro