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21 Aprile 2016 | Approfondimenti tecnici

Il nuovo T.U. dei contratti: il punto sulle collaborazioni

Il decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, entrato ufficialmente in vigore il 25 giugno 2015, ha raccolto in un Testo Unico le discipline delle diverse tipologie contrattuali, riorganizzandole e modificandole in alcuni punti.
Questo significa che dopo l’entrata in vigore del D.lgs. 81/2015 per stipulare un contratto di lavoro dovrà farsi riferimento alla disciplina legislativa ivi contenuta, tenendo altresì in considerazione l’avvenuta abrogazione delle tipologie contrattuali, prima esistenti, di cui il Testo Unico non si occupa più.

In particolare, a far data dal 25 giugno 2015 non esistono più nel nostro ordinamento giuridico, quindi non possono più essere sottoscritti, i contratti di lavoro ripartito (cd. job sharing) e, soprattutto, i contratti a progetto.

L’abrogazione di quest’ultima tipologia contrattuale, nata nel 2003 con il D.lgs. 276, è stata, però, accompagnata dalla riviviscenza legislativa delle co.co.co. (da sempre menzionate dall’art. 409 c.p.c.), ora denominate collaborazioni organizzate dal committente e disciplinate dall’art. 2 del D.lgs. 81/2015.

In pratica il T.U. dei contratti ha eliminato l’obbligo del progetto che doveva accompagnare le collaborazioni affinché fossero genuine e ha sottolineato la necessità che le “nuove” collaborazioni organizzate dal committente non presentino gli elementi della cd. eterodirezione che, concretizzandosi in un coordinamento eccessivamente penetrante relativo anche ai tempi e al luogo di lavoro, determinano l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Tutto questo, quindi, cosa significa?

Significa che non possono più essere conclusi contratti a progetto, ma che possono essere stipulate collaborazioni coordinate e continuative a patto che le modalità concrete della coordinazione del committente sul collaboratore non determinino una direzione tale del lavoro da far ricadere la collaborazione nell’alveo dell’applicazione della disciplina del lavoro subordinato.
Il requisito dell’eterodirezione deve essere indagato, in particolar modo, in relazione ai tempi e al luogo di lavoro. Ciò significa che in una collaborazione organizzata dal committente che sia genuina (e si collochi, perciò, nell’ambito del rapporto di lavoro parasubordinato) non è ammissibile una programmazione unilaterale della prestazione in ordine ai tempi di lavoro né al luogo.

Non è, quindi, ammissibile che nel contratto siano indicati giorni precisi ed orari nei quali, indipendentemente dall’organizzazione che il collaboratore vorrebbe dare al proprio lavoro, questi sia tenuto ad essere presente in un determinato luogo indicato dal committente. È, invece, ammissibile che committente e collaboratore stabiliscano delle fasce orarie all’interno delle quali il collaboratore, autonomamente, potrà rendere la propria prestazione nel luogo messo a disposizione dal committente.
Dopo l’abrogazione del contratto a progetto, pertanto, è possibile costituire rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, in relazione ai quali, però, sarà necessario prestare particolare attenzione agli aspetti di cui sopra, onde evitare che un accesso ispettivo possa ricondurli alla disciplina del lavoro subordinato con tutti gli oneri e i costi che questo comporterebbe.
Per avere maggiori garanzie circa la genuinità delle collaborazioni, le parti (committente e collaboratore) possono chiedere la certificazione dell’assenza dei requisiti dell’etorodirezione alle commissioni di certificazione di cui all’art. 76 del D.lgs. 276/03.

Questo significa che committente e collaboratore, facendosi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro, possono presentare il proprio contratto e chiedere che questo venga certificato in quanto collaborazione organizzata dal committente.

Si ricordi che sono organi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro le commissioni di certificazione istituite presso:

a) gli enti bilaterali costituiti nell’ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell’ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale;

b) le Direzioni provinciali del lavoro;

c) le province;

d) le università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate in un apposito albo, esclusivamente nell’ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo;

e) il Ministero del lavoro – Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, esclusivamente nei casi in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province anche di regioni diverse ovvero per quei datori di lavoro con unica sede di lavoro associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro, nell’ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro;

f) i consigli provinciali dei consulenti del lavoro di cui alla legge 11.1.1979, n. 12, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell’ambito territoriale di riferimento senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e comunque unicamente nell’ambito di intese definite tra il Ministero del lavoro e il Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, con l’attribuzione a quest’ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi.

Dott.ssa Emiliana Maria Dal Bon – Consulente del lavoro