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15 Dicembre 2022 | Approfondimenti tecnici

Licenziamento per GMO e obbligo al tentativo di ricollocazione

Prendendo spunto da una recente sentenza del Tribunale di Lecco, esaminiamo l’obbligo di ricollocazione, richiesto dalla giurisprudenza in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Infatti, l’obbligo di repêchage non proviene da una norma di legge né, tantomeno, da un vincolo previsto dalla contrattazione collettiva, ma da una regola di condotta voluta dalla giurisprudenza.

Secondo quanto dichiarato dalla Corte di Cassazione (Ordinanza n. 1386/2022), la previa verifica del reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, per quanto inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore.

In pratica, il licenziamento dovrà essere l’estrema ratio per il datore di lavoro, propedeutico alla verifica circa la possibilità di ricollocare il lavoratore in posizioni compatibili con le proprie capacità e professionalità possedute. Qualora non si proceda a tale verifica, il motivo posto a giustificazione del licenziamento potrà ritenersi insussistente. (Cassazione 10 giugno 1998, n. 5777)

L’onere al tentativo di ricollocazione del lavoratore è in capo al datore di lavoro, il quale dovrà, previamente alla decisione di licenziare il lavoratore per motivi oggettivi, fornire la prova circa l’impossibilità di repêchage del dipendente licenziato, in quanto requisito di legittimità del recesso datoriale.

Ciò significa che il datore ha l’onere di provare che al momento del licenziamento non sussiste alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti; quel che rileva è, in altri termini, l’impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva, tenuto conto della organizzazione aziendale esistente all’epoca del licenziamento.

Parliamo esclusivamente del tentativo di ricollocazione previo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e cioè per:

  • ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro ed il regolare funzionamento di essa (articolo 3, Legge 604/1966), tale da determinare un mutamento organizzativo effettivo e/o la soppressione di una determinata posizione lavorativa. Il datore di lavoro ha l’onere di allegare e dimostrare il fatto che rende legittimo l’esercizio del potere di recesso, ossia l’effettiva sussistenza di una ragione inerente l’attività produttiva, l’organizzazione o il funzionamento dell’azienda. (Cassazione, sentenza 1802 del 27 gennaio 2020). In questo caso, quindi, vi deve essere una effettiva correlazione causale tra la scelta imprenditoriale e la soppressione del rapporto di lavoro;
  • ragioni legate ad una inidoneità fisica e/o psichica sopravvenuta, che non permettono al lavoratore di svolgere le attività oggetto del proprio inquadramento, previsto dal contratto individuale sottoscritto all’atto dell’assunzione ovvero in essere al momento della inabilità.

 

Primo tentativo di ricollocazione

Il primo tentativo di ricollocazione dovrà riguardare mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. In pratica, una rimodulazione delle mansioni a livello orizzontale. Detta riorganizzazione potrà avvenire anche senza alcuna condivisione con il lavoratore; infatti, il datore di lavoro potrà “ordinare” il cambio delle mansioni, che dovranno essere riconducibili allo stesso livello e categoria legale delle ultime effettivamente svolte. Importante sarà, in questo caso, la declaratoria e la classificazione del personale operata dai contratti collettivi. Nessuna perdita ci dovrà essere da un punto di vista retributivo.

 

Secondo tentativo di ricollocazione

Qualora il datore di lavoro non riesca a rivedere le mansioni orizzontalmente, potrà valutare un riposizionamento in mansioni anche inferiori. Riposizionamento che sarà più complicato qualora le ragioni della modifica delle mansioni siano dovute alla parziale inidoneità del lavoratore, in quanto oltre alla ricerca di mansioni adeguate alla professionalità del lavoratore, si dovrà guardare anche la residuale capacità lavorativa, restringendo oltremodo tale ricerca a quelle attività compatibili con la ridotta idoneità allo svolgimento di prestazioni lavorative.

Una volta trovata la potenziale attività, questa dovrà essere condivisa con il lavoratore, in quanto non sarà possibile una imposizione unilaterale da parte del datore di lavoro.

La ricollocazione del lavoratore a mansioni inferiori, rispetto a quelle possedute, dovrà essere, infatti, avallata da un accordo individuale da sottoscrivere in una cd. “sede protetta” e cioè in una delle sedi previste dal quarto comma, dell’articolo 2113, del codice civile. Queste sono, essenzialmente:

  • la Commissione di conciliazione, presso Ispettorato territoriale del Lavoro (attraverso la procedura prevista dagli articoli 410 e 411 del c.p.c.);
  • la cd. “sede sindacale” (con la procedura prevista dall’articolo 410 c.p.c.);
  • la Commissione di certificazione, in funzione conciliativa (prevista dall’articolo 76 e ss., del decreto legislativo n. 276/2003);
  • la neonata negoziazione assistita (prevista dall’articolo 2-ter del Decreto Legge n. 132/2014, convertito in L. 162/2014, così come introdotto dal decreto legislativo n. 149/2022).

Solo al termine di questo iter di ricerca, il datore di lavoro potrà decidere, in caso di risultato negativo, la risoluzione dal rapporto di lavoro per licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Ricordo che secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18556 del 10 luglio 2019, il licenziamento è legittimo anche qualora non si sia proceduto alla ricollocazione del lavoratore, in considerazione del fatto che pur a fronte di adattamenti organizzativi nel luogo di lavoro, astrattamente possibili, questi avrebbero comportato un onere finanziario sproporzionato alle dimensioni e alle caratteristiche dell’impresa; ovvero, avrebbero aggravato le condizioni di lavoro dei colleghi.

Conclusione

Concludo, da dove ho iniziato e cioè dalla sentenza emessa dal Tribunale di Lecco (sentenza n. 159 del 31 ottobre 2022), la quale ha affermato che la prova della sopravvenuta inutilità del lavoratore non può arrestarsi alla mera impossibilità del repêchage ma il datore di lavoro è tenuto ad accertare che non sia possibile sottoporre il lavoratore ad un percorso di aggiornamento professionale che lo renda nuovamente idoneo alle mansioni per le quali era stato assunto. Con questa sentenza, che ricordo essere solo di merito e quindi suscettibile di revisione da parte della Corte di Cassazione, il giudice pone un altro tassello alquanto complicato da dimostrare e cioè che il datore di lavoro dovrebbe, per concludere negativamente la ricollocazione del lavoratore, dimostrare che anche con un percorso di formazione fornito a quest’ultimo, non vi siano posizioni disponibili in azienda.

REGIONE TOSCANA:
Accreditamento ai sensi DGR 1407/16 e ss.mm.ii. con decreto n. 19591 del 10/12/2018 (Codice Organismo OF0062).
Accreditamento Regione Toscana ai Servizi per il Lavoro (Settore Servizi per il Lavoro di Arezzo, Firenze E Prato) Decreto n. 403 del 20/09/2021

REGIONE EMILIA-ROMAGNA:
Accreditamento ai sensi D.G.R. n. 177/2003 e ss.mm.ii. con delibera della Giunta Regionale n. 1837 del 05/11/2018 (Cod. Org. 12927) per gli ambiti Formazione Continua e Permanente e Apprendistato.

REGIONE LOMBARDIA:
Iscrizione all’Albo regionale dei soggetti accreditati per i Servizi di Istruzione e Formazione Professionale al numero di iscrizione 1141 del 03/04/2019.

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